Marzo profuma di tradizione con le Tavole di San Giuseppe

Tra buon cibo e devozione, ritorna il 19 marzo nei comuni idruntini il suggestivo rito in onore del Santo dei lavoratori

Non è certo un caso che “tradizione” faccia rima con “condivisione”. Ne è un chiaro esempio il culto collettivo delle Tavole di San Giuseppe del 18 e 19 marzo, fino a poco tempo fa rituale ai più sconosciuto, ma difeso e tramandato con grande devozione in molti comuni, che hanno cercato di tener vivo un evento antichissimo fatto di buon cibo, preghiera e anche un pizzico di magia.
Il mistero è quello che circonda l’origine di questa cerimonia, nata molto probabilmente in epoca bizantina, quando i monaci basiliani (secondo un’altra ipotesi i nobili del posto) offrivano protezione e ricchi banchetti alla gente del luogo, dilaniata dalla miseria. Si ritiene, comunque, che delle tracce sull’origine di questa antichissima tradizione siano presenti negli atti di fondazione delle "Confraternite di San Giuseppe", con dei riferimenti alle cure e alle opere da riservare ai poveri, in particolar modo nel giorno della festa del protettore.

tavole miniRituali antichissimi segnano il calendario dei comuni vicini a Otranto, come Giurdignano (il vero epicentro), Uggiano la Chiesa, Minervino di Lecce, Giuggianello, Poggiardo, Cocumola, Cerfignano. E’ sempre nel segno della carità e della devozione verso il santo, ma con, in aggiunta, la gioia della condivisione, che ci si prepara ad una festa di tutti, in un’atmosfera quasi magica.
L’allestimento delle tavole segue uno scrupoloso cerimoniale, in cui nulla è lasciato al caso: gesti tramandati di generazione in generazione, di cui – naturalmente – non esiste alcuna regola scritta. Il 12 marzo è il momento di impastare la farina per i “vermiceddhi” (o “massa”), il 14 lampascioni e stoccafisso vengono messi a bagno, il 15 è il turno dei ceci, il 17 si procede con rape, cavoli e cavolfiori, che verranno cucinati il giorno seguente assieme allo stoccafisso, la pasta con il miele, il pesce, quando si prepareranno anche le pittule. La preparazione si conclude, puntuale, la sera della vigilia, quando le famiglie che hanno fatto un voto iniziano a cucinare l’ultima pietanza.

san giusNulla è lasciato all’improvvisazione, a partire dalla candida tovaglia utilizzata per allestire la tavola, un tessuto rigorosamente impreziosito da ricami e merletti che ospiterà, al centro, un grande quadro del Santo. In bella mostra sulla tavola ci sono i “tortini”, dei grossi pani di circa cinque chili, con nel mezzo un finocchio ed un'arancia. Seguono, in buon numero, le pietanze volute dalla tradizione (13 pietanze per 13 commensali). Ogni pietanza poi assume un significato particolare: i colori della pasta e ceci evocano quelli del narciso, il fiore tipico della primavera; i lampascioni, invece, il passaggio dall'inverno alla primavera. Il cavolfiore ricorda la verga fiorita di San Giuseppe, il pesce fritto simboleggia il Cristo, mentre le cartellate le fasce di Gesù Bambino. Lo stoccafisso, infine, rappresentava un tempo il pasto della festa.

Grandi tavolate vengono imbandite in onore del santo dei lavoratori, per un evento che coinvolge un intero paese. A Giurdignano la tavola principale è quella allestita in piazza Municipio, e sono tante le famiglie del paese che aprono le porte delle loro case per far assaggiare a tutti le pietanze in bella mostra, in un continuo viavai che si protrae fino a notte. Chi prepara la “Tavola” lo fa per diversi motivi: , i pranzi possono essere preparati per grazia ricevuta, una sorta di ex-voto con cui la famiglia vuole ringraziare San Giuseppe per la sua intercessione. Ma possono anche avere anche una funzione propiziatoria, per ricevere la protezione del Santo e chiedere una particolare grazia.

I commensali sono scelti dal capofamiglia tra parenti, compari, amici. La scelta può avvenire a seconda del voto espresso, e ricade preferibilmente tra coloro che hanno maggior bisogno o hanno una famiglia numerosa, oppure tra le persone con cui ci sono state delle incomprensioni, in modo da stabilire con loro la pace e, se invitati, questi non possono sottrarsi all'obbligo di partecipare. I “Santi”, i commensali, sono un numero minimo di tre (le figure sacre di San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un massimo di tredici (numero che richiama i componenti dell'ultima cena). Le “coppie di Santi” che si aggiungono sono Sant'Anna e San Gioacchino, Sant'Elisabetta e San Giovanni, San Zaccaria e Santa Maria Maddalena, Santa Caterina e San Tommaso, San Pietro e Sant'Agnese, in ogni caso sempre un numero dispari.

A mezzogiorno in punto del 19 marzo, dopo aver ricevuto la benedizione, i “Santi” si riuniscono attorno alla tavola imbandita. Seduto a capotavola con un bastone foderato di carta e un mazzolino di fiori legato in cima, a ricordo del miracolo riportato dagli apocrifi per cui il Santo fu scelto quale sposo di Maria, San Giuseppe detta i tempi: dà inizio al pranzo battendo un colpo di bastone sul pavimento e assaggia la prima pietanza, accompagnata rigorosamente da una preghiera. Solo dopo aver terminato anche gli altri commensali potranno mangiare, fino a che San Giuseppe non batte per tre volte la forchetta sul suo piatto. A questo punto un devoto introduce una nuova pietanza e il ciclo si ripete per tutti i piatti preparati. Alla fine la famiglia devota consegna i grossi pani, ognuno con un simbolo diverso, ai rispettivi Santi, che rispondono con una espressione di ringraziamento: "San Giuseppe te l'aggia ansettu" (San Giuseppe gradisca il tuo sacrificio).

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